Anche per il prossimo campionato di serie D, com’era del resto ampiamente prevedibile, non ci sarà derby tra Nocerina e Paganese, anche se le due storiche rivali militeranno nella stessa serie: girone G (laziale/sardo/campano) per la Nocerina, girone H (pugliese/campano) per la Paganese.
Il derby sarà ancora una volta una parola vuota per tanti, per le nuove generazioni, per quelli che non hanno mai avuto l’occasione o la ventura di vivere un evento, etichettato da magica parola, che ha sempre sprigionato vitalità e interesse da tutti i pori.
La Paganese dovrà accontentarsi di disputare un incontro con la Sarnese; la Nocerina dovrà invece vedersela con la Scafatese. Il derby dell’agro per antonomasia – diciamocelo chiaramente – è stato sempre e solo quello che ha viste protagoniste Nocerina e Paganese, due comunità che hanno condiviso (se si escludono le fedi calcistiche) lo stesso territorio, le stesse abitudini, gli stessi ambienti di lavoro. Chiamatela pure, se volete, sfida stracittadina; ma derby è più bello, più intrigante, più stuzzicante.
Voglio riproporre uno spaccato del clima che si viveva nelle famiglie nei giorni precedenti il derby. Leggetelo. Forse più delle parole, sentirete il profumo ineguagliabile dell’appartenenza e del tifo. Una specie di Noi siamo noi, voi siete voi. Poi, non si saprà mai perché, qualcosa si è smarrito per strada e nessuno riesce a trovare i motivi per cui sono andati perduti nel tempo: la sana ironia, gli sfottò spigolosi, il senso della misura e del vivere civile. Che peccato!
Il mio derby personale, quasi privato, non ha età. Nonni materni nocerini, nonni paterni paganesi. È stato sempre derby, in famiglia; sempre a porte aperte, con protagonisti sempre spalla a spalla in casa, ma soprattutto a tavola. Terreno d’incontro: Capofioccano di una volta, numero civico cancellato dal tempo, oggi via Gustavo Origlia, la stradina che dall’incrocio di via Fucilari con la piazza della chiesa di Santa Monica, oggi Santa Maria del Presepe, sale verso la nazionale 18.
Vigilia di partite a Nocera sempre uguali. Siamo forti noi; no, siamo noi che abbiamo uno squadrone. Si pranza ogni anno, a seconda del calendario, tutti assieme. Pietanza preferita il derby con nonno materno, di origini tramontane, trasferitosi poi a Nocera, investito del delicato ruolo di arbitro. Zii nocerini, genitore paganese; che derby! Io, piccolo, che mi aggrappo a mio padre che – solo contro tre cognati – vuole far prevalere le ragioni campanilistiche che da sempre fanno grande un derby. Le donne calmano le acque che non sono mai chete. “Vi accalorate per tutta quella gente che corre dietro ad una palla – dicono ingenuamente – e voi siete più bambini di loro che vi afferrate per un pallone preso a calci!…”
Il mio derby personale, nel nome della Paganese, non si è mai interrotto. Solo scuole elementari a Pagani, nell’edificio maestoso in Villa Comunale; poi scuole medie a Nocera, alla “De Lorenzo”, ragioneria nell’edificio della famiglia Nobile di fronte all’ex Modernissimo e infine il lavoro; trent’anni e più in Banca sul corso Garibaldi.
Un derby, il mio, lungo quasi una vita; sempre corretto, lineare, anche spigoloso com’è anche normale che sia, quando l’oggetto del contendere è una partita di calcio; mai travalicante i limiti della decenza, della buona creanza e del saper vivere.
Amici, tanti, a Nocera, in tutti i campi. Parenti, amici, colleghi giornalisti, conoscenti: reciproco rispetto e cordialità, sempre, anche nel fatidico giorno del derby. Che bello andare allo stadio con una bandiera! Solo una volta ci sono andato guarnito a festa, con una bandiera più grande di me, e avevo i calzoni corti. I “rivali” sportivi di sempre, incontrati per strada, mi presero pure in giro.
“Dove vai con questa bandiera azzurra, vedi come è bello il rosso-nero!” – disse un omone grande così nel vialone che portava al vecchio “Piazza d’Armi”, ma senza per questo terrorizzarmi più di tanto per il tono canzonatorio che accompagnava la sua frase; era sicuro di vincere e a lui, come a tanti altri, interessava solo vincere il derby, non altro, per poi poter prendere in giro gli avversari sportivi di sempre.
Negli anni, finché ha avuto il significato che per me lo ha sempre caratterizzato, di derby non me ne sono perduto uno. Andavo prima al “Piazza d’Armi”, poi al “San Francesco” come cronista, in compagnia degli indimenticabili amici fraterni Giuseppe Di Florio, Peppino Natale, “Cassandrino” Pino Villani che oggi non ci sono più, ma c’erano anche Enzo D’Alessandro, Enzo Liberale oggi trapiantato al nord, Biagio Esposito. Andavamo assieme, ma ognuno tifava per i propri colori, senza ritegno.
Derby – per i più distratti – non è altro che un incontro di calcio fra due squadre della stessa città, del comprensorio o dello stesso territorio. Derby è sinonimo di rivalità sportiva, non di altro. Chi intende il derby come un qualcosa di diverso è fuori strada e oggi ne fa pagare le conseguenze a tutto un territorio.
Belli e avvincenti i derby di una volta. Grande partecipazione popolare, coreografie spontanee, cori goliardici che, da una parte e dall’altra, rispettivamente, caratterizzavano “pezzari” e presunti ascendenti militari. Tutto spontaneo, tutto alla luce del sole, tutto controllabile. Incidenti? Pochi, rari, come possono capitare anche per strada, senza premeditazione, senza astio, senza odio. Santa Chiara? Un’isola felice, transito libero, senza barriere, senza ostacoli, linea di demarcazione solo cartografica. Qualche scritta di troppo su immacolate mura di palazzi appena ricostruiti, inneggianti all’una o all’altra fazione, ma niente di più. Era questo il derby di tanti anni fa; forse in bianco e nero, ma chi se lo ricorda più?
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